Il Piccolo -

I tormenti dell’Europa e il monito di Rumiz «Dobbiamo volare alto»

«Il più grande rischio per l’Europa è il ritorno delle nazioni, un fantasma che ci ha portati all’autodistruzione già due volte nel XX secolo. Se ritorneranno le nazioni e l’Europa non riuscirà a volare alta, saremo destinati alla frammentazione, e così sarà più facile che i poteri mondiali senza patria ci mangino in un boccone».
Nella Link Arena Paolo Rumiz parla dell’Europa, delle sue fragilità, dei pericoli all’orizzonte. Intervistato dalla vicedirettrice del TgR Roberta Serdoz, l’autore ha riflettuto sul suo ultimo libro “Verranno di notte. Lo spettro della barbarie in Europa”. Il continente, secondo l’autore, è minacciato dal ritorno di una destra xenofoba. «Tutto questo – ha sottolineato Rumiz – avviene perché le cosiddette anime belle della sinistra hanno lasciato che il tema dell’identità diventasse monopolio delle destre. Identità è una parola non pronunciabile a sinistra, mentre invece è un tema fondamentale. Non occuparsene vuol dire consegnarlo nelle mani di chi lo userà a scopo elettorale, senza risolvere niente. Detto questo, dobbiamo smettere di piagnucolare perché una forma di fascismo sta tornando. Dovremmo invece farci un esame di coscienza e chiederci che cosa non abbiamo fatto perché tutto ciò non accadesse. Perché siamo così inerti?».
C’è tutta la storia professionale di Rumiz, e c’è un luogo simbolo come Trieste, davanti alla platea nel primo giorno di Link, ed è impossibile evitare una parola chiave: confine. «Per i miei genitori – ha raccontato lo scrittore – la linea di confine era un luogo pericolosissimo, che poteva mutare la geopolitica d’Europa in pochi minuti con l’invasione di carri armati. Per loro era ancora vivo il ricordo della guerra e dell’immediato dopoguerra. Per me, che a 75 anni ho il privilegio di non aver mai vissuto una guerra se non da giornalista, il nostro confine è un magnifico sismografo di tutti gli eventi mondiali. Da quando sono bambino, ho visto passare da qui tutti i tipi possibili di profughi: prima gli istriani e dalmati, poi i curdi, e ancora quelli che scappavano dalla guerra in Jugoslavia. Attualmente vivo in Slovenia a pochi metri dal confine, e ho visto transitare sotto casa mia le colonne di anziani e bambini ucraini che allo scoppio della guerra passavano oltre. E poi, ci sono tutti quelli che arrivano oggi, con un crescendo impressionante. Pochi giorni fa, ho seguito due ragazzi bengalesi che facevano la strada per entrare in Italia. Non avevano niente in mano, nemmeno un sacco. Quando hanno scollinato e hanno visto il mare, con i suoi colori incredibili e Trieste che baluginava di luci, sono scoppiati in lacrime. Così ho pensato: ecco qui due persone venute dall’Asia, che si commuovono per l’Europa, mentre noi non abbiamo mai speso nemmeno una lacrima di emozione per il nostro continente. Ma ci rendiamo conto che apparteniamo a una delle terre più fortunate in tutto il pianeta? Ci accorgiamo che cos’è il resto del mondo? Quasi ovunque i diritti umani non sono rispettati. E allora, teniamocela stretta questa Europa!».
Rumiz e la sua città, Trieste. «Mi dispiace vedere come viene disprezzata questa città che ha offerto a quei disgraziati che passano il confine di notte la migliore e più efficace accoglienza diffusa di tutta Italia. Questo è un grande merito, e invece il sindaco lo ha descritto con la parola “fallimento”. E l’accoglienza diffusa non è l’unica eccellenza di Trieste. Qui c’è anche un ospedale infantile che da decenni accoglie i bambini vittime delle guerre. Il Burlo è riuscito a curare i bambini sopravvissuti alla guerra di Gaza e arrivati qui in condizioni spaventose, e a smistarli in maniera ottimale in altri ospedali italiani. Oggi si trova ad affrontare un’altra emergenza, quella dei bambini curdi provenienti dai campi profughi di Siria e Turchia, che hanno bisogno urgente di trapianti. La Fondazione Burlo ha bisogno di donazioni per la cura di questi bimbi, e io voglio utilizzare questo palco per lanciare un appello».
Infine, il contesto del festival: Rumiz ha parlato del ruolo dell’informazione. «Se non sapremo raccontare in modo semplice e diretto che cos’è l’identità europea, in questo vuoto narrativo si inseriranno quelli che creano fake e descrivono l’Europa come un errore di calcolo. Se non ricordiamo ogni giorno cosa sia l’Europa e che fortuna abbiamo a viverci, allora verremo sconfitti, e a quel punto ci renderemo conto quanto bene stavamo dentro. Spesso le cose si amano solo quando le abbiamo perdute». —
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