L’intervista a tratti «umiliante» su Rai 1 in prima serata di Gennaro Sangiuliano come un «processo cinese di rieducazione», la stampa capace di fare «da cane da guardia» perché «non ha mollato l’osso» fino alle dimissioni. Il dialogo tra il direttore dei quotidiani del gruppo Nord Est Multimedia (Nem) Luca Ubaldeschi e Giovanna Botteri – l’evento inaugurale del Link Media Festival, il festival del giornalismo di Trieste – non poteva non partire dall’attualità. La più stretta, quella appena successa, mezz’ora prima che i due giornalisti salissero sul palco.
Ubaldeschi fa sapere che aveva preparato molte domande per Botteri, ma che le dimissioni del ministro – e qui parte un lungo applauso da parte del pubblico, Botteri non trattiene una risatina – lo avevano indotto a metterle da parte. Anche perché – ricorda Ubaldeschi – a un festival di giornalismo la vicenda è particolarmente rilevante: è un caso che è stato segnalato dai giornalisti, il ministro stesso si è confessato in una lunga intervista al Tg1 in prima serata. E Botteri rilancia: «Noi giornalisti dobbiamo fare da cani da guardia al potere, e qui l’abbiamo fatto, non abbiamo mollato l’osso. Tutti noi cittadini dobbiamo ricordarcelo: chi amministra rappresenta noi, e ogni giorno deve rispondere a noi». Ma non c’è Schadenfreude – quella soddisfazione nel vedere la sofferenza altrui – nell’analisi di quanto è successo: la vicenda umana di Sangiuliano, collega con cui Botteri ha lavorato «benissimo» a più riprese, è stata «penosa». In particolare la sua lunga intervista al Tg1 per Botteri «umiliante e pesante da seguire» in alcuni passaggi. «Sembrava un tipo di processo cinese, quello di rieducazione, che passa dalla gogna mediatica», osserva Botteri, corrispondente Rai da Pechino negli anni della pandemia. E si riferisce al commento di Giorgia Meloni: «Stiamo facendo la storia». «I cinesi hanno la stessa convinzione – rileva –. Quell’intervista l’ho vista come un messaggio: “Chi sbaglia paga”». E proprio vedere il collega con cui ha condiviso parte del percorso professionale così la porta a riflettere sul fatto che «il potere ti cambia». E a dire che «non ne possiamo più nel 2024 di vedere questo schema trito e ritrito, l’uomo di potere con la segretaria sulle ginocchia. Una giovane donna massacrata, la moglie umiliata davanti a tutto il Paese. Non ne possiamo più». E qui di nuovo scatta un applauso fragoroso da parte del pubblico. «Avevo pensato che con una giovane donna premier tutto questo sarebbe cambiato…», aggiunge.
Queste valutazioni sul presente seguono a stretto giro riflessioni sul passato. A Botteri è assegnato il premio Crédit Agricole, Testimone della Storia. Ma storia e attualità non sono una dicotomia, sono parte di un continuum. La cronaca in presa diretta diventa ben presto documento storico. Botteri riceve un tallero d’argento dalla direttrice regionale di Crédit Agricole, Maria Teresa Innocente. Sa di giocare in casa e scherza: «In borgo Teresiano vale tre volte», e poi dopo aver guardato un filmato in cui scorrono i vincitori delle precedenti edizioni aggiunge: «Non sono la prima donna a ricevere il premio (Lilli Gruber fu insignita nel 2014, ndr ), ma sono la prima triestina», tra gli applausi del pubblico. «È sempre un’emozione forte essere premiata nella mia città. Arriva in un momento strano della mia vita, in cui comincia una nuova fase, mi dà forza e coraggio», aggiunge, alludendo al suo recente pensionamento.
Altro spunto di riflessione sul passato è il fatto che Link quest’anno compie dieci anni, «un anniversario che racconta una solidità», sottolinea Ubaldeschi. Ma l’obiettivo è chiaro: quello di guardare al futuro. Del festival – dato che questo è il primo anno in cui Nem lo promuove – e del giornalismo. E questo è testimoniato dal fatto che a dare il benvenuto al pubblico è una «figlia dell’intelligenza artificiale», un tema che – sottolinea Ubaldeschi – tornerà più volte nei vari eventi del festival.
Anche con Botteri Ubaldeschi parla di futuro del giornalismo. Per lei «è un’illusione quella di tener lontana dall’informazione l’Ai. C’è, esiste, e bisogna farci i conti bene e in fretta, ponendo dei chiari “altolà”, come negli Usa ha fatto il New York Times quando ChatGpt si è “allenata” sui loro testi». Ad ogni modo, quello che serve al giornalismo ora è «recuperare credibilità». E la strada è semplice: «Dobbiamo smettere di fare i tifosi e smettere di affrontare le notizia ideologicamente. Così da far dire a chi ci ascolta o legge: “Quella fonte dice una cosa che è credibile al di là della partigianeria”». E qui di nuovo scoppia un altro applauso, fortissimo del pubblico. Quando Ubaldeschi le chiede quando si è persa questa fiducia, Botteri risponde convinta: «Quando abbiamo iniziato a non ascoltare la gente e ad ascoltarci tra di noi nei salotti e nei talk show. Quando i cronisti hanno smesso di andare nei quartieri difficili, ad ascoltare i pensionati alle Poste, a sentire quello che avevano da dire le persone al supermercato che non si possono permettere la spesa. La gente ha bisogno di parlare e di indicare quello che non va». Solo se il giornalismo riprende contatto con il Paese reale – rimarca ancora con forza Botteri – allora troverà che «quelle stesse persone che abbiamo ascoltato staranno al nostro fianco nella difesa del diritto di informare». Nella conversazione con Ubaldeschi, Botteri ripercorre varie tappe della sua carriera, ricorda il momento in cui ha sfiorato la morte e afferma: «La forza di andare avanti si trova anche in nome del sacrificio dei colleghi che hanno perso la vita. Un sacrificio che questa città conosce bene, visto che ha pagato un prezzo altissimo». Parla di come si fa giornalismo libero sotto i condizionamenti più pesanti. Ubaldeschi infine le chiede quali saranno i suoi prossimi progetti. «Dopo essermi occupata a lungo di esteri, voglio raccontare l’Italia». Di più non rivela. —